12/11/2019 – In Italia, ogni operatore economico che intende partecipare a procedure di affidamento dei contratti pubblici è consapevole di dover possedere e rispettare i requisiti previsti dall’art. 45 del Dlgs 50/2016, il Codice Appalti, e, nel caso di affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, quelli definiti dall’art. 46 del Codice nonché dal Dm 263/2016 “Requisiti per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria”
Sul tema “operatore economico” l’Italia è stata già bacchettata dalla Corte di Giustizia Europea che con la sentenza in causa C – 305/2008 invitava il legislatore a rivedere la nozione stessa di “operatore economico” prevista nel Dlgs. n. 163/2006 “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
Infatti, il concetto di “operatore economico”, così come previsto dalla Corte di Giustizia Europea, è stato accolto nell’art. 45 del Codice che fornisce una definizione di ampio respiro e molto inclusiva. Ma è nell’art. 46 che il legislatore ha adottato un concetto di operatore economico maggiormente circoscritto e con specifico riferimento all’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria.
È dunque, l’art. 46 del Dlgs 50/2016 conforme al diritto europeo?
Questo è l’interrogativo a cui il TAR Lazio non ha saputo dare risposta. Domanda che scaturisce dal ricorso proposto dalla fondazione PARSEC contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), per aver, quest’ultima, negato l’iscrizione della fondazione nell’elenco dei soggetti ammessi a partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria.
La fondazione PARSEC è un ente di diritto privato senza scopo di lucro, dotato di personalità giuridica; Tra le attività previste dal suo statuto si occupa anche dello studio delle catastrofi naturali, previsione e prevenzione delle condizioni di rischio, pianificazione, gestione e monitoraggio dell’ambiente e del territorio, protezione civile e ambientale, vantando una competenza specialistica nel settore geofisico e sismologico.
Dunque, desiderando partecipare a gare d’appalto indette da amministrazioni locali per l’affidamento del servizio di classificazione del territorio in base al rischio sismico – che ricordiamo rientrare, a tutti gli effetti, nel concetto di «servizi di architettura e ingegneria e altri servizi tecnici» – segue la procedura, trasmettendo il relativo modulo di iscrizione all’ANAC.
L’ANAC nega tale richiesta con la seguente giustificazione “le fondazioni non rientrano tra i soggetti previsti dall’art. 46, comma 1, del D. lgs. 18 aprile 2016 n. 50 e dal Dm 263/2016”.
Il Codice appalti usa due pesi e due misure?
Zoomando sul Codice Appalti nasce spontaneo un dilemma: l’art. 45 esprime una concezione molto ampia di Operatore Economico, mentre il successivo art. 46 restringe il campo dei servizi di architettura e ingegneria solo ad alcuni soggetti e soprattutto tutti con finalità di lucro (professionisti singoli o associati, società di professionisti, società di ingegneria, raggruppamenti temporanei e consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria e dei Geie), dunque, come mai due approcci così diversi?
Sembrerebbe, e questo è anche quello che il TAR Lazio ha pensato, che il legislatore abbia intenzionalmente voluto adottare, per i servizi di architettura e ingegneria, un approccio “speciale” caratterizzato da una definizione di operatore economico più circoscritta.
Perché questa limitazione? Forse per la delicatezza dei servizi in questione? Per l’elevata professionalità richiesta per garantirne la qualità e la presunzione che i soggetti che erogano tali servizi in via continuativa a titolo professionale, e remunerato, siano maggiormente affidabili per la continuità della pratica e dell’aggiornamento professionale?
Spiegazioni sicuramente plausibili, ma la certezza è che per l’ordinamento italiano gli enti diversi da quelli indicati all’art. 46 del Codice Appalti sono esclusi dalla partecipazione alle gare aventi ad oggetto l’affidamento di “servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”.
Cosa dice il diritto Europeo in merito?
Se aprissimo una finestra sul panorama normativo europeo ci renderemmo subito conto che la differenza prescrittiva dei due articoli, 45 e 46, potrebbe essere tale da creare un gap concorrenziale oltre che distorsivo, tra operatori economici italiani e quelli appartenenti agli altri stati membri, nella partecipazione alle gare di affidamento dei “servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, tipologia di servizi che rappresenta un settore ghiotto e di indubbio interesse anche per gli operatori economici stranieri, dato che l’importo oltre il quale la gara assume rilevanza comunitaria è relativamente contenuto (variando da 135.000,00euro a 209.000,00 euro).
Infatti, poiché l’art. 45 del Codice Appalti contiene la norma di carattere generale, gli operatori economici che provengono da un diverso stato membro possono concorrere alle procedure per l’affidamento di “servizi di architettura e ingegneria”, malgrado non rivestano una delle forme giuridiche contemplate dall’art. 46, come d’altronde sottolinea la Direttiva 2014/24/UE agli articoli 19, comma 1, e 80, comma 2 e la già citata sentenza della Corte C-305/08, che sottoponeva al vaglio la norma italiana il Dlgs 163/2006.
Dunque, emerge una chiara disparità: da un lato l’Italia si è allineata al diritto europeo per quel che concerne gli operatori economici provenienti dagli altri stati membri, ma dall’altro lato ha creato una netta differenziazione tra gli operatori economici italiani.
Il Tar, nella sua interpretazione, ha ritenuto possibile che la Direttiva 2014/24/UE abbia lasciato agli Stati membri la possibilità di adottare, con riferimento a determinate prestazioni e, comunque, con riferimento all’affidamento di “servizi di architettura e ingegneria”, un concetto di “operatore economico” circoscritto, includente solo determinate forme giuridiche.
Ma nel dubbio ha demandato ai giudici UE la decisione sul ricorso e attualmente è in corso la causa C-219/19.
Quale risposta daranno i giudici UE? E quale effetto avrà sugli appalti in Italia?
Se l’interpretazione della Direttiva 2014/24/UE espressa dal TAR Lazio fosse corretta, l’art. 46 del Codice Appalti, risulterebbe conforme al diritto europeo, l’ANAC avrebbe ragione e di conseguenza, così com’è ora, tutti gli operatori economici che erogano “servizi di architettura e di ingegneria” in una forma giuridica diversa da quelle indicate dalla norma medesima, non potranno partecipare a gare indette per l’affidamento di tali servizi.
Nel caso in cui fosse invece riconosciuto che l’art. 46 del Codice Appalti non è conforme ai parametri della Direttiva 2014/24/UE, la fondazione PARSEC vincerebbe il ricorso e dovrebbe essere iscritta nell’elenco nazionale dei soggetti, di cui all’art. 46, che possono partecipare alle gare per l’affidamento di “servizi di architettura e ingegneria”.
Il caso è molto interessante nel suo genere, perché forse mette in evidenza un limite o addirittura un ostacolo che il Codice appalti pone all’accesso di operatori economici organizzati in strutture che abbiano una forma giuridica o finalità di lucro diverse da quelle contemplate dall’art. 46.
Molte fondazioni, associazioni, istituti di ricerca e simili sono costituiti da professionisti, ingegneri o architetti, che oltre a possedere le competenze, lavorano tantissimo sul tutto il territorio italiano, principalmente gratis, perseguendo obiettivi di tutela, valorizzazione, miglioramento, accrescimento ecc. ecc. Queste strutture organizzative, è inutile negarlo, hanno al loro interno un grande potenziale.
Verrebbe dunque da chiedersi, in un mercato lavorativo sempre più concorrenziale, converrebbe maggiormente avere un approccio aperto o chiuso? È un interrogativo da non sottovalutare, ma a questo punto non possiamo far altro che aspettare la risposta dei giudici UE.